di
Francesco Merlo
dal
Corriere della Sera del 5 settembre 2003
Troppe volte ci capita di pensare che Berlusconi faccia la satira di se stesso
e si autoriduca a macchietta. Almeno due volte la settimana infatti si caricaturizza
da solo con involontarie autodenigrazioni. Se continua così, in mancanza
di riforme, di grandi opere, di efficienti scuole di Stato, di rilancio dell'economia,
di sport e di talento, presto di lui potrebbe restare, come materia di studio
e di pietas , solo un modello di autoannichilimento. Insomma sta accadendo quel
che Montanelli aveva preannunciato sul Corriere: Berlusconi si sta consumando
e sbriciolando da sé. Ecco perché, nel giorno in cui Berlusconi
ha detto che i giudici sono matti e ha aggiunto che Montanelli e Biagi sono stati
sempre invidiosi di lui, la cosa che più ci manca è la risposta
di Montanelli. Ci manca la sapienza di chi comprende che l'insulto insensato e
l'ingiuria sguaiata nascondono sempre debolezza, malessere, inadeguatezza, forse
tragedia.
Nessuno
di noi conosce Berlusconi come lo conosceva Montanelli. Solo lui avrebbe capito,
allarmato, da quale pozzo di disperazione affiori l'idea infantile che un re invidi
un valletto, un gigante un nano, che un monumento della storia d'Italia, il quale
aveva rifiutato anche il seggio di senatore a vita, abbia desiderato, fosse pure
una volta, di indossare i tacchi e la pelata di un parvenu della politica.
E perché mai Enzo Biagi dovrebbe invidiare un improvvisatore del quale
non si possono invidiare né la cultura né l'intelligenza né
l'eleganza ma solo il danaro, problematicamente accumulato? Secondo noi, Montanelli
oggi non rimprovererebbe a Berlusconi neppure il cattivo gusto di avere insultato
un morto. Berlusconi infatti - ci perdonino tutti i suoi forsennati detrattori
che tanto gli somigliano - sicuramente non è una iena, ma un visionario,
la cui originaria naïveté e la cui proverbiale leggerezza stanno degradandosi
in grottesco, come il trucco sfatto sul viso di un clown. Dunque Berlusconi attacca
il morto perché lo vede vivo, lo teme vivo e, di nuovo, confonde la libertà
di giudizio con l'invidia.
Anche
l'idea che i giudici siano matti, oltre che un'ossessione da imputato, è
un autogol da imputato. Il giudice matto non esiste, e la convinzione che ci sia
una tabe psichica che motivi i dottori in Legge verso la magistratura non è
buona neppure per la letteratura da «scemeggiato» tv. Si conoscono
infatti giudici corrotti, moralmente o politicamente, giudici eroi, giudici per
bene, giudici quaquaraquà, ma il giudice pazzo è una categoria solo
berlusconiana, come appunto l'invidia di Biagi e Montanelli; è una categoria
che rimanda ad altro, che significa altro.
Significa
che per Berlusconi il Diritto frequenta, o meglio - viste le precisazioni del
disperato portavoce Bonaiuti - costeggia la follia.
Una persona che informa
la sua vita al rispetto del Diritto non è normale, come pensa di essere
Berlusconi, ma folle o quanto meno maniaco, come non pensa di essere Berlusconi.
La legge è fatta per essere amministrata da dissennati e gli italiani che
si fidano dei giudici pazzi sono poveri idioti.
Come si vede, siamo oltre
la satira più impietosa. Nessuna Sabina Guzzanti sarebbe arrivata a tanto.
C'è una tale assenza di misura da spingerci non all'indignazione ma alla
commiserazione, la stessa provata per Robert De Niro che, pugile per forza, dopo
l'incontro si finisce dissanguandosi nelle toilettes.
Francesco
Merlo